Nick: siddharta Oggetto: IL VIAGGIO Data: 30/1/2005 12.0.11 Visite: 160
Stamattina ho avuto desiderio per un attimo, mentre stavo ancora a letto, che fosse domenica, ma una domenica di molto tempo fa. L’odore del ragù di mia mamma si arrampicava sulle coperte e mi saliva fino al naso mescolato con l’odore della terza macchinetta del caffè. Dopo un po’ sentivo la voce bassa di Zio Ciccio, lo zio di mia mamma, il fratello di mia nonna. Zio Cicco ha lasciato in me un ricordo indelebile, come i miei nonni. La mia infanzia è stato un viaggio tra le stelle, passata tra la poesia delle persone anziane che vivevano intorno a me e la loro onesta d’animo. C’era un cortile la cui metà era piena di carrette, calessi, ruote, cerchi e pezzi smontati da carrette… In questo palazzo io ho passato la maggior parte dei pomeriggi d’estate. Non potrò mai dimenticare quel colore delle controre, l’incudine e quei martelli con le maniche lunghe. Ricordo la musica che emettevano quei tre martelli che si alternavano su quella incudine, ancora oggi non ho sentito musica più bella. Mio nonno anticipava il colpo con un lamento e tirava quella lunga manica del martello quasi dietro le spalle. Zio Ciccio ci metteva la voce, lui che a volte non lo si capiva quando parlava, in quel gesto tirava la voce fuori come un capo indiano. Francuccio, il più giovane, tirava fuori un suono come lo tirerebbe fuori un chitarrista in erba ma con talento. Stamattina ho avuto desiderio per un attimo, mentre stavo ancora a letto, di trasportarmi indietro, di rimettere la testa sotto le coperte e cadere. Mia mamma aveva una merceria. era una merceria alla buona, ma ci trovavi tutto dal cotone alle chiusure lampo, alle liquirizia a forma di barchetta, al dash, alla candeggina Aurora, al Borotalco alle pantofole per il mare, al Super Santos. Al super Tele (moscio andava dove andava il vento). MI ricordo tutto, e anche il suono della campanella appesa alla porta che ci avvertiva che stava entrando qualcuno; spesso dal mezzo busto in su non si vedeva nessuno, spesso era bobby il nostro cane. (ma questa è un'altra storia) I vestiti di carnevale, tutti su uno quello di Zorro. I biscotti amarena. Le biglie colorate. Ricordo che l’acqua della fontana era ghiacciata e soprattutto si poteva bere, sembrerà assurdo ma c’era un tempo non molti anni fa che l’acqua della fontana si poteva bere. Quante, persone semplici, gente di paese che se era incazzata lo vedevi e se era felice lo sentivi. Ora se sei incazzato non lo dai a vedere e se sei felice non lo riesci a capire. Ricordo mia mamma cucire con le mani, i piedi, seduta, con gli occhi sull’ago e le parole che mi raccontavano il mondo, era il mio mito. Ricordo quel negozio nei sui piccoli dettagli: due banconi col vetro sopra, gli scaffali in legno, la macchinetta per fare i bottoni di stoffa, i merletti, le collanine, i bottoni di osso di mille colori di mille forme, la stufa a tre elementi dietro al bancone, la porta sul retro con la mia bicicletta parcheggiata. La mia bicicletta! La guidavo senza mani scansando buche e frenavo col la scarpa sul copertone della ruota d'avanti. " Il Pizzo di Grumo " , il posto in cui abitavano tutti quelli che abitavano a Casandrino, ma ai confini con Grumo Nevano. Io ero il nipote dei " Mannesi " (costruttori di carrette e calessi). Mio zio era Ciccio 'o mannese, mio nonno Ciro 'o russ, mia mamma Rosetta ' a mannesa. Poi c'er Maria 'a furnara, zi 'mbert, Luigi 'o buzzuoco, Nannina 'a puparola, Peppina 'e telacannela, 'o ficciaiulo, 'a brasilesa, 'a signora genoveffa, Lilì, Adilina a muntagnola e il figlio Antonio attasin (altafini), 'o preserent, Mast'Aniello, Manuera, buttiglione, Cicciella 'e prusutt, 'o casalese, caprarella. La mia infanzia passata con tutta un'altra generazione, affascinato da quelle cose semplici, dalla saggezza di certa ignoranza, dall'umiltà di certi sguardi, dalla correttezza d'animo. Io sono rimasto la. E in dei momenti come quello di stamane ci ritorno, mi faccio il mio viaggio solitario difficile da raccontare, ma difficile da dimenticare. E' più forte di me, non riesco a staccarmi da quelle facce, da quelle rughe, da quegli sguardi come pozzi senza fondo. La mia infanzia rimane la più grande opera d'arte della mia vita.
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