The Ring è stato forse il film horror più interessante degli ultimi anni, autentico apripista al cinema giapponese di genere in occidente, e ha stimolato negli Stati Uniti la produzione di remake di tali prodotti nipponici (The Grudge ad esempio).

In questo secondo episodio ritornano le vicende ed i personaggi lasciati in sospeso, ed in particolare vediamo la giornalista Rachel Keller (Naomi Watts) nel tentativo di ricostruire una vita con il figlio Aidan (David Dorfmann) in una piccola cittadina di provincia americana.
Ma un giorno scopre persino in quella località sperduta una delle videocassette maledette di Samara, e comprende che l'incubo non è finito...

Ring 2 vede alla regia Hideo Nakata, già dietro alla macchina da presa negli originali Ringu e Ringu 2 (di cui The Ring 2 non è assolutamente da considerarsi come il remake, ma un film a parte, a se stante, che si distacca notevolmente dall'originale e non solo per lo stavolgimento della trama portante).
Il film inizia con una lunga carrellata sull'acqua marina (l'aldilà) che lambisce la cittadina in cui la protagonista Rachel e suo figlio si sono rifugiati dopo gli eventi del primo film:
una sorta di "dichiarazione di intenti" per Nakata, che fa proprio dell'acqua uno degli elementi fondamentali, se non l'unico fondamentale, di tutto il suo film.

Simbolo di purezza per la cultura giapponese, rovesciato qui nell'emblema della morte e dell'abbandono, destino subito da Samara quando fu gettata nel pozzo maledetto, ma anche elemento che scopriamo aver "toccato" la vita dell'inquietante protagonista in un passato ancora più remoto:
l'acqua diviene così una presenza costante nelle apparizioni dell'inquieto spirito, presagio di morte ancor più di quella televisione che era il "mezzo" usato da Samara per interagire con il mondo dei vivi nel primo film.
E' impossibile, per chi conosce il cinema del regista, non vedere in tutto ciò un riferimento esplicito, diremmo persino dichiarato, al suo film più bello, quel Dark Water, un riferimento così forte che The Ring 2 a tratti sembra il suo remake non ufficiale.

La considerazione, più pertinente al film, ma soprattutto a un regista che abbiamo imparato ad amare, è che Nakata, nel suo esordio hollywoodiano, abbia tentato di "mediare" il suo cinema, e il suo stile ben riconoscibile (un forte simbolismo, un'estetizzazione dell'orrore sempre presente, una componente melodrammatica che è ormai parte integrante del suo impianto narrativo), con le esigenze dell'industria dell'orrore hollywoodiana, che ha ormai "fagocitato" la new wave nipponica riproponendone solo le idee di base, ma snaturandone la sostanza.

Un tentativo coraggioso, ma purtroppo non riuscito:
il film risulta squilibrato, e non riesce a soddisfare né gli amanti del pop-corn horror statunitense, né i cultori delle più recenti ghost story orientali.
Un'altra considerazione, anch'essa strettamente pertinente al film e a uno dei suoi creatori, lo sceneggiatore Ehren Kruger, trovatosi stavolta a lavorare su un soggetto (quasi) completamente originale, abbia mostrato qui tutti i suoi limiti a livello di scrittura cinematografica, costruendo una sceneggiatura che non sta in piedi, ricca di buchi, di elementi buttati lì e poi tralasciati, e di spunti mal sviluppati.

La "mediazione" occidentale/orientale tentata dal regista non funziona:
il film alterna momenti riusciti e inquietanti (affidati soprattutto alla recitazione del giovane David Dorfman che qui ha almeno la possibilità di caratterizzare il suo personaggio) ad altri in cui a prevalere è l'effetto-shock gratuito, slegato dalle necessità narrative.
L'eleganza formale del film (che si avvale di un'ottima fotografia virata a toni "freddi" di blu e verde, scelti per adattare l'estetica del film al suo tema e aumentarne l'inquietudine) e la profusione di simbologie da parte del regista (oltre all'acqua è da ricordare la presenza dei cervi, animali sacri per la cultura giapponese e qui "indicatori" della presenza del Male) non riescono a sopperire a una sceneggiatura inconcludente, confusa, che sembra indecisa sulla direzione da prendere, che vuole spiegare ma non ci riesce, accumulando elementi che sembrano dover trovare una precisa collocazione all'interno della storia ma poi vengono ingiustificatamente tralasciati.

Per (ri)costruire la sua idea di melodramma horror, Nakata si è concentrato proprio sul rapporto tra Rachel e suo figlio, e sul progressivo allontanamento di quest'ultimo, parallelo al nuovo irrompere dell'orrore nella vita dei due.
Una costruzione che purtroppo (nonostante la nuova prova positiva della stessa Naomi Watts), resta "ingabbiata" nei limiti di uno script che doveva essere maggiormente curato.
Ring 2, come tutti i sequel, ha come appeal soprattutto la curiosità di scoprire come si può fare evolvere una storia.
Rispetto al suo predecessore, però, tutto diventa molto più scontato e banale.

Gli elementi più interessanti come quello della videocassetta assassina, vengono relegati al ruolo di piccoli spunti, mentre Nakata sposta l'azione su un piano più "impalpabile", ma, al tempo stesso, francamente meno interessante o comprensibile.
Colpa anche di una sceneggiatura che, volendo rimettere le mani su qualcosa di compiuto, si trova ad avere non poche difficoltà a dare nuova linfa alla storia.
Neppure il ritorno di Rachel alla famosa fattoria del terrore colpisce lo spettatore o lo spaventa.
Per quanto anche il primo potesse non piacere, aveva sicuramente qualcosa di forte e, vagamente, innovativo al suo interno.
Cosa che non capita con Ring 2 scontato, ma soprattutto tremendamente a rischio di umorismo involontario con tanto di cervi assassini e altre situazioni nelle quali è difficile trattenere le risate.

Unica scena decisamente notevole sotto il profilo tecnico è quella in cui Rachel trova suo figlio nella vasca da bagno.
Prova che la tecnologia riesce ormai a mostrare sullo schermo qualsiasi cosa. L'importante, però, è che ci sia qualche buona idea alle spalle, cosa che in Ring 2 sembra davvero mancare.
In conclusione Ring 2 prova a contaminare con rimandi estetici e simbolici (l'acqua più di ogni cosa, elemento già fondamentale nel suo Dark Water) altamente significativi.
Il risultato, purtroppo, non è dei migliori:
la struttura del film, sebbene interessante nello sviluppo del rapporto madre-figlio, soffre particolarmente per una narrazione confusa e colpi di scena alquanto prevedibili.

L'orrore rimane circoscritto, le urla e gli occhioni sgranati si susseguono e non basta inventarsi un'oracolare Sissy Spacek, indimenticabile Carrie per Brian De Palma, qui nei panni della disturbata Evelyn , per migliorare le cose.
Buone alcune sequenze come la "caduta" di Rachel nel pozzo ma, nel complesso, la pellicola finisce per far rimpiangere il lavoro di Verbinski, all'epoca capace nel rendere un minimo credibile la "traduzione" dal j-horror originale.
Nakata, come recentemente accaduto per Shimizu, autore di The Grudge, remake americano del già suo Ju-On, è rimasto vittima della stessa sindrome "da emigrazione":
Hollywood, al momento, sembra averne fagocitato il talento, svilendolo e mutilandolo per metterlo al servizio di un'altra operazione puramente commerciale.

Purtroppo, a differenza del trend secondo cui oggi i sequels sono spesso migliori rispetto agli originali, The Ring 2 delude le aspettative.
Se il primo film, almeno dal punto di vista visivo, era eccezionale, la regia intimista di Nakata non porta la storia più avanti delle sue premesse, trasformando i suoi punti di forza in veri e propri cliché.
Il ritorno della perfida Samara e della sua nemesi si perde, però, in una serie di quesiti cui, in fin dei conti, non vale la pena rispondere.

La videocassetta che provoca la morte dopo la sua visione, i sette giorni di tempo per tentare di salvarsi sono ormai ridotti a prendere assai poco spazio nella storia.
Frettoloso e malamente costruito The Ring 2 lacera il pubblico tra la lotta contro il sonno e il reprimere le risate.
L'umorismo involontario e un tono tutt'altro che spaventoso, fanno di The Ring 2 un'occasione perduta per riprendere le redini di una storia in maniera sensata, anziché soltanto per una mera vocazione commerciale.
Un'occasione sprecata, ma soprattutto una pellicola sorprendentemente sbagliata che non solo non fa paura, ma fa ridere.

The Ring 2 colpisce per la sua superficialità con Nakata che pur tentando di stare dietro allo stile di Gore Verbinski, per un motivo o per l'altro, non riesce a fare davvero entrare lo spettatore nella storia.
Lo stile del regista giapponese, per quanto ambizioso e curato, è sensibilmente meno eccitante di quello del suo predecessore Gore Verbinski:
Ring 2 non solo non riesce a non essere disturbante, ma soprattutto non fa quasi mai davvero paura!

Pollice verso quindi e film bocciato senza appello! Salvo solo la brava e bella Watts, e consiglio la visione solo ai veri fan di Samara e solo per completezza, avvertendoli che però rimarranno sicuramente delusi.
Per tutti gli altri invece, se proprio volete vedervi un Ring 2, noleggiatevi l'originale Jappo o un certo Dark Water, sempre diretto da Nakata e in uscita in home video proprio in questi giorni.
Se volete andare lo stesso al cinema invece vi consiglio di dirottare i vostri soldi su di una pellicola davvero sottovalutata...
"The Jacket", non ne rimarrete delusi.
Insomma il cerchio si era già chiuso con il primoremake americano ed è inutile riaprirlo adesso...torna in punizione nel pozzo Samara e faccia al muro!
Versione originale
Title: The Ring 2
Author: The Ring 2
Copyright: © 2005 - UIP
Fonti:
Uip.it/thering2/
Cinema.CastleRock.it
FilmUp.com
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"La pioggia,
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